Quando negli USA i ricchi pagavano il 94% di tasse

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inastinewsNel 1929, l’anno del crollo di Wall Street e della Grande Depressione, l’aliquota fiscale massima negli Stati Uniti era fissata al 24%. La crisi economica che ne seguì portò a un radicale cambiamento nella politica fiscale del Paese. La necessità di rispondere al tracollo economico e finanziare i programmi di recupero fu una delle principali preoccupazioni dei legislatori.

Già nel 1932, sotto l’amministrazione di Franklin Delano Roosevelt, le aliquote fiscali sui redditi più alti erano salite al 63%. Questo incremento segnava l’inizio di una serie di misure volte a riequilibrare la distribuzione della ricchezza e a sostenere il New Deal, il pacchetto di riforme economiche e sociali introdotto da Roosevelt per far fronte alla crisi.

Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, la pressione fiscale sui super-ricchi statunitensi raggiunse livelli senza precedenti, toccando il 94% nel 1945. Questo periodo rappresentava il culmine di un approccio fiscale molto aggressivo, che mirava a canalizzare i redditi più elevati verso le casse statali, contribuendo così a finanziare lo sforzo bellico della seconda guerra mondiale e le riforme post-belliche. Durante questo tempo, i guadagni sopra i 200.000 dollari (valore dell’epoca) erano praticamente interamente tassati, rappresentando una delle più alte aliquote fiscali mai imposte nella storia degli Stati Uniti.

Tuttavia, con la fine della guerra e il completamento del New Deal, il panorama fiscale degli Stati Uniti iniziò a cambiare. Gli anni ’50 e ’60 videro le aliquote rimanere elevate, superando il 90% sui redditi più alti. Questa politica continuava a riflettere un impegno verso una redistribuzione della ricchezza che, sebbene mitigata da una crescita economica robusta, manteneva una forte pressione sui più abbienti.

La vera trasformazione avvenne nel corso della presidenza Reagan (1981 – 1989) che segnò una drastica riduzione delle imposte sui redditi più elevati. L’aliquota massima scese fino al 28%, un cambiamento radicale che rifletteva una filosofia economica orientata verso la riduzione della tassazione e la promozione del libero mercato. Questo abbattimento, sebbene inizialmente visto come un catalizzatore per la crescita economica, ha anche contribuito a un aumento delle disuguaglianze e alla concentrazione di ricchezze nelle mani di pochi.

Negli anni ’90, la pressione fiscale per i super-ricchi ha visto un lieve aumento, ma è rimasta ben al di sotto delle aliquote dei decenni precedenti. Questo trend riflette una tendenza generale verso una minore tassazione dei redditi più alti rispetto alla media dei Paesi europei. Le riforme fiscali successive hanno cercato di bilanciare la necessità di raccogliere entrate con l’obiettivo di stimolare l’economia, ma le disuguaglianze rimangono una preoccupazione persistente.

Oggi, la tassazione sui redditi più elevati negli Stati Uniti appare significativamente più bassa rispetto ai periodi storici in cui le aliquote erano tra le più alte a livello globale. Questo cambiamento ha avuto un impatto profondo sulla distribuzione della ricchezza e sulle opportunità economiche per le classi medie e basse, contribuendo a una crescente disuguaglianza economica nel Paese.