L’Europa, un continente con una storia millenaria di innovazioni, cultura e prosperità, si trova oggi di fronte a una sfida esistenziale. Mario Draghi, ex presidente della Banca Centrale Europea, ha recentemente lanciato un allarme che non può essere ignorato: l’Unione Europea deve agire subito per restare competitiva nell’arena globale, altrimenti il suo declino sarà lento ma inesorabile. Questo messaggio è contenuto nel rapporto “Il futuro della competitività europea”, presentato a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, il 9 settembre 2024.
Draghi non è certo nuovo a fare i conti con momenti di crisi. La sua leadership durante la crisi del debito sovrano dell’eurozona, culminata nella famosa dichiarazione del “whatever it takes”, gli ha guadagnato una reputazione come uomo capace di manovrare la nave europea attraverso acque turbolente. Tuttavia, questa volta, la sfida è diversa: la posta in gioco non è solo la stabilità finanziaria, ma il futuro stesso dell’Europa come potenza economica e industriale. Draghi descrive il quadro attuale come “esistenziale”, ponendo di fronte all’Europa una scelta: competere o perdere la propria rilevanza.
Frutto di un lavoro di ricerca durato circa un anno, , si sviluppa su quasi 400 pagine e offre una disamina completa delle difficoltà strutturali che affliggono l’economia europea. Tra i fattori principali che hanno minato la competitività dell’Unione spiccano il divario tecnologico con Stati Uniti e Cina, la lentezza nell’adozione delle tecnologie digitali e i costi energetici, che hanno raggiunto livelli insostenibili rispetto a quelli delle altre grandi economie mondiali. Draghi mette in guardia dal fatto che il vantaggio che l’Europa aveva costruito nel corso degli ultimi decenni, in termini di benessere e stabilità, sta svanendo sotto il peso di nuove dinamiche globali.
Il rapporto, ribattezzato “rapporto Draghi” dalla stampa, non si limita a descrivere le criticità: propone una serie di riforme e politiche industriali che, se attuate rapidamente, potrebbero invertire la tendenza negativa. Al centro delle raccomandazioni di Draghi c’è l’urgenza di accelerare la transizione energetica verso fonti rinnovabili, un processo che negli ultimi anni ha registrato ritardi significativi rispetto agli obiettivi prefissati. Il passaggio alle energie verdi non è solo una questione ambientale, ma anche un imperativo economico per ridurre la dipendenza energetica dell’Europa, soprattutto dopo la crisi dei prezzi scatenata dalla guerra in Ucraina.
Altro punto critico è la digitalizzazione. L’Europa, che un tempo poteva vantare un ruolo di leadership tecnologica, ha perso terreno rispetto agli Stati Uniti e alla Cina. Solo quattro delle 50 maggiori aziende tecnologiche al mondo sono europee, e molte delle startup più promettenti nate nel Vecchio Continente si sono trasferite altrove, attratte da condizioni fiscali e di mercato più favorevoli. Per Draghi, questo divario va colmato attraverso politiche che incentivino l’innovazione e la crescita delle imprese tecnologiche europee. La mancanza di investimenti nel settore tecnologico e nell’intelligenza artificiale, in particolare, è vista come uno dei principali fattori di stagnazione della produttività dell’Unione.
Non meno preoccupante è la questione del coordinamento tra gli stati membri dell’Unione. Draghi sottolinea che molte delle riforme necessarie per rilanciare la competitività europea sono già in corso, ma vengono attuate a livello nazionale, senza una vera strategia comune. Questo, secondo Draghi, riduce notevolmente l’efficacia degli interventi. Nel rapporto si propone, quindi, un maggiore coordinamento delle politiche economiche e fiscali, nonché la creazione di strumenti di indebitamento comune che permettano di finanziare gli investimenti strategici necessari.
Tra le raccomandazioni più ambiziose del rapporto vi è la richiesta di aumentare gli investimenti fino a 800 miliardi di euro all’anno, equivalenti al 4,5% del PIL dell’Unione Europea. Draghi paragona questa cifra al celebre Piano Marshall, il programma di ricostruzione post-bellica finanziato dagli Stati Uniti, sottolineando che lo sforzo richiesto oggi all’Europa è di proporzioni simili, se non maggiori. Tuttavia, a differenza del Piano Marshall, l’Europa dovrà trovare le risorse al proprio interno, dimostrando una capacità di leadership e coesione che finora è mancata.
Nel rapporto si evidenzia anche un altro problema cruciale: la frammentazione del mercato interno. Gli stati membri continuano a perseguire politiche industriali e fiscali divergenti, minando così la possibilità di una risposta coordinata alle sfide globali. Draghi insiste sulla necessità di una maggiore integrazione, che permetterebbe all’Europa di sfruttare al meglio il proprio potenziale e di parlare con una sola voce nei confronti degli altri blocchi economici.
Alla fine, il messaggio di Draghi è chiaro: l’Europa deve agire ora, con urgenza e concretezza. Il tempo per i compromessi è finito. Se l’Unione non riuscirà a riformarsi rapidamente, rischia di compromettere i suoi valori fondamentali e di vedere compromesso lo stato sociale che ha garantito benessere e prosperità per decenni. In gioco non c’è solo la competitività economica, ma il ruolo dell’Europa nel mondo del futuro.
https://commission.europa.eu/topics/strengthening-european-competitiveness/eu-competitiveness-looking-ahead_en